(2008) LA CAMPANA DI MEZZOCAMMINO

(2008) LA CAMPANA DI MEZZOCAMMINO

Una storia gotica che racconta di un’accorata lotta contro la paura.

Un piccolo villaggio in una valle isolata di montagna è tenuto in ostaggio dal signore del castello di Mezzocammino. La sua torre svetta come un dito nodoso puntato al cielo.
La campana dell’orologio è lo strumento per esercitare il dominio. Ogni giorno, allo scoccare di ogni ora, i rintocchi seminano il terrore: la loro eco ruba i pensieri e le emozioni della gente e li riporta alle orecchie attente e insaziabili dell’oscuro signore.
La valle è in preda alla paura, ma non tutti si fanno incatenare dal terrore e c’è chi reagisce. Per disperazione o per rabbia, per orgoglio o per amicizia, per dovere o per amore, organizzandosi o agendo d’impulso, un gruppo di amici, le loro compagne e un tormentato parroco, con la sua chiesa senza campane, affrontano e combattono la paura, ciascuno a suo modo, e ciascuno con il suo destino, fino alla fine.
La “Campana di Mezzocammino” è la storia di una disperata lotta contro il male. Vi partecipa l’intera valle, dal torrente rabbioso alle rocce lontane stritolate dai ghiacci, dagli alpeggi al cielo sempre oppresso da nubi, perduto in un inverno che sembra non avere mai fine.

Scarica il PDF di un’anteprima del libro

ANTEPRIMA BRANI

Le prime righe

Superate le strette gole scavate da un’acqua rabbiosa che contendeva spazi vitali alla tenacia delle rocce scure, la valle si apriva in un lungo altipiano disegnato da dossi tondeggianti che parevano  cuscini trapuntati da fitti boschetti di conifere, sotto i contrafforti di monti incombenti eppur lontani; rocce inviolate, che chiudevano l’orizzonte, s’infiammavano di sera sotto i colpi degli ultimi raggi del sole morente e di notte occultavano le stelle, gettando sulla valle un velo di inquietante oscurità.
Tra i dossi tondeggianti scorreva un fiume nervoso, la sua voce rimbalzava in alto, verso il cielo, e si perdeva nel silenzio dell’altipiano, rotto ogni tanto dalle grida sguaiate di qualche rapace o dai muggiti scontrosi delle vacche al pascolo.
Una strada sterrata ma agevole percorreva la valle per l’intera lunghezza, per lo più correndo a mezza altezza sui dossi del lato destro, ogni tanto scomparendo in qualche canalone e a volte valicando il fiume su solidi ponticelli di legno.
In uno dei dossi più interni, a media altezza sul versante di destra, era il castello di Mezzocammino, che appariva al viandante come seduto sulla roccia, con il suo gruppo di case accoccolato ai piedi del mastio e una unica, solitaria, alta e snella torre di guardia, che svettava su tutta la valle, esile e grigia come un ramo rinsecchito, o come un dito nodoso puntato al cielo.
Ogni sera, dopo il tramonto, mani pratiche accendevano le torce incastonate nel grande orologio circolare che campeggiava sulla parete frontale della torre; nell’aria plumbea del crepuscolo pareva un occhio di fuoco che scrutava gente e bestie, l’occhio del signore di Mezzocammino, che sembrava potesse vedere ben oltre le spesse mura delle case e le protezioni dei ricoveri delle bestie, dove tutti gli abitanti della valle cercavano rifugio, stringendosi attorno alle loro paure.
Sospinto dall’alito della notte, il signore di Mezzocammino suggellava il suo silenzioso e tremendo dominio. Usava l’orologio della torre solitaria per esercitare il suo potere sulla valle; allo scadere di ogni ora l’orologio comandava un meccanismo che ordinava alla campana una danza ossessiva, che scuoteva l’aria ed eccitava il batacchio, scatenando un orgasmo di suoni martellanti, la cui eco si disperdeva in ogni angolo di quella terra racchiusa nella cerchia lontana dei monti.
Sordi come l’indifferenza, penetranti come l’ossessione, i rintocchi della torre di Mezzocammino permeavano la valle e le loro vibrazioni ne esploravano ogni anfratto, trasmettendo il messaggio del dominio, e ogni anfratto della valle rispondeva con altre vibrazioni, eco silenziose, incontrollabili e inarrestabili come la marea, che tornavano all’origine e portavano all’orecchio attento del signore della valle tutte le notizie che gli servivano per tenere sotto controllo il suo territorio.
L’orologio parlava, l’orologio ascoltava, il segreto era nel suo meccanismo.
Dalle silenziose stanze della sua dimora il signore di Mezzocammino scrutava il regno che gli apparteneva e ascoltava ansioso l’eco dei rintocchi; erano suoni che nessun orecchio umano poteva sentire, vibrazioni profonde che gli portavano i palpiti tutti gli abitanti, ma non solo: egli vi sentiva persino il battito dei cuori delle bestie e le loro semplici emozioni.
Altrettanto semplice era l’emozione della paura, che si liberava con un gelido abbraccio in ogni persona quando ascoltava i sinistri rintocchi di quella campana; nessuno nella valle riusciva a sottrarvisi. Ogni rintocco era un brivido e a ogni brivido ognuno liberava da sé qualcosa, ansie, sospiri, angosce, segnali che sembravano sciogliersi nell’etere, ma che venivano raccolti dall’eco e portati alle attente orecchie del signore della valle, uditore attento e insaziabile.

Presenze

Raggiunto il portone di casa sua, Ali salì rapidamente le scale, arrivò al ballatoio, si soffermò un istante davanti alla porta vetrata, dalla quale traspariva la calda luminosità del focolare animata dall’ombra fuggevole di Martina.
Ali trasse un respiro, aprì la porta, entrò togliendosi il cappello e prima ancora di sfilarsi il mantello chiese bruscamente: “Cosa sei andata a raccontare a don Fedele?” Martina si era girata di scatto al sentire che la porta si apriva, ma la luce di gioiosa gratitudine che si era accesa nei suoi occhi al ritorno del suo compagno si spense rapidamente. Quegli occhi scuri, così rari da quelle parti e per questo motivo così apprezzati, si erano incupiti. “Cosa state combinando, tu e i tuoi compari?”
Erano ai lati opposti del grande tavolo di massiccio legno scuro che riempiva la sala; Martina vi aveva appoggiato i pugni, dando le spalle al camino acceso al centro del quale ondeggiava la pentola della polenta; le luci disordinate e rossastre del fuoco giocavano in controluce con i capelli sciolti della ragazza. Ali la fissava negli occhi. Cominciò ad avvicinarsi aggirando il tavolo.
“Ci avete spiati? Ci avete seguiti?”
“Non ho bisogno di spiarti per sapere che mi stai nascondendo qualcosa.” Nel suo sguardo c’era determinazione, ma anche una grande passione. Ali sapeva leggerla.
“E’ una situazione incerta e difficile, volevo proteggerti”
“Proteggermi? E da cosa?” La passione di Martina stava diventando rabbia “se tu e quei quattro disgraziati dei tuoi amici, se commettete qualche idiozia e …” non ebbe la forza di proseguire, il suo sguardo vibrò assieme a tutto il volto, lo spettro della solitudine, la disperazione di Adele, erano insopportabili per Martina.
Ali la raggiunse rapidamente e l’abbracciò. La ragazza si lasciò andare tra le spalle forti dell’uomo, appoggiò il volto al suo torace e diede sfogo al pianto. Ali le accarezzò i capelli sostenendola con forza rassicurante e con dolcezza:
“E’ per questo che sei andata da don Fedele?”
“Avevo capito che tu, Bruno e gli altri stavate macchinando qualcosa, ma ero certa che presto me lo avresti detto, ti ho voluto lasciare il tempo di cui avevi bisogno. Poi però Pina mi ha detto quello che aveva visto suo fratello e allora le vostre riunioni al fiume, gli arnesi spariti, ma siete impazziti? Volete lasciarci tutte sole?”
“E che cosa speravate di ottenere da quel prete?”
“Che ti aiutasse a rinsavire” Martina si sganciò dall’abbraccio, sempre fissandolo negli occhi “perché sei tu il loro capo, quelli, senza di te, non vanno da nessuna parte. Ma cosa ti sei messo in testa? Me lo vuoi dire o no?”
“Ora sappiamo” disse Ali con una determinazione nello sguardo che spaventò Martina “che chi ha messo in catene questa valle è umano, sono uomini, e come tali possono essere affrontati e combattuti.”
“Tu sei pazzo!”
“So che hai paura, amore mio” Ali provò a riavvicinarsi, ma la ragazza lo scansò “anche noi ne abbiamo.”
“Io ho paura della tua sciocca follia” rispose Martina con rabbia “ti sei esaltato, eccitato, e con i tuoi compari vi siete esaltati a vicenda, vi credete invincibili? … E la campana? L’hai dimenticata? Quegli orribili suoni …”
… la guardava con grande affetto. L’affetto era sincero e Martina lo sapeva. Accettò il nuovo abbraccio. Ali continuò:
“Ci stiamo solo attrezzando per difenderci, se qualcuno ci dovesse attaccare, evitiamo di restare da soli, nei limiti del possibile, ma non stiamo cercando di fare colpi di testa, stai tranquilla, vogliamo solo essere più prudenti.” Le accarezzò nuovamente i capelli. Stava mentendo. E anche questo Martina sapeva. Strinse forte il suo uomo cercando si sentire vicino il battito rassicurante del suo cuore. …Martina non rispose; con l’angoscia nel cuore mantenne forte l’abbraccio. Nel silenzio della sala si udiva il crepitìo del fuoco nel camino, il calore domestico e l’odore del cibo quasi pronto li avvolgevano.
Entrambi, per consolidata abitudine, stavano maturando la consapevolezza che si stavano avvicinando le otto. Un nuovo appuntamento con il terrore. Ali trasse un profondo respiro, quando udirono un leggero colpo alla finestra e un fruscio.
“Cosa è stato?” chiese Martina con il cuore in gola guardando la finestra accanto al camino.
“Non so.” disse Ali andando ad aprirla.
Fuori l’aria era fredda ed era cominciato a nevicare. Un leggerissimo strato bianco si era formato sul davanzale, nel quale erano impresse le tracce di qualche volatile. Ali si sporse e non vide nulla, solo la strada, le altre case, i piccoli fiocchi bianchi che scendevano indifferenti, e lontano, a monte, quasi lo stessero osservando, il tremolio diafano dei fuochi accesi sull’orologio della torre. Ali richiuse la finestra e tornò ad abbracciare Martina, dicendo:
“Era un uccello notturno, è volato via”.
Il rapace aveva sostato sul loro davanzale, aveva guardato con poco interesse l’interno attraverso i vetri appannati, poi si era concentrato sulla strada, alla ricerca di un motivo per volar via è attratto da qualche movimento nell’ombra in fondo alla strada, ai piedi dei portici, il rapace si era librato in volo per planare nell’oscurità trapunta di leggeri fiocchi bianchi tra le immobili pareti silenziose delle case. Nessuno era per la via, nemmeno l’ombra ingannevole che lo aveva illuso. Atterrato sul soffice e gelido nevischio, il volatile ruotava il collo in cerca di qualche nuova traccia. Era circondato dal silenzio e dall’immobilità. Era nel suo ambiente, l’uomo rinchiuso nelle sue tane, nessun nemico. I suoi occhi leggevano la strada; le case, i loro portici, i loro anfratti gli si disegnavano nella mente come vecchi dagherrotipi, immagini in bianco e nero, diafane ma precise nei dettagli; il suo cervello sapeva cogliere con prontezza ogni minima variazione, variazioni che significavano movimento e il movimento era indizio di possibile preda.
Poi qualcosa gli ricordò che quel regno aveva un altro padrone. L’onda del primo rintocco delle otto strappò il rapace dalla feroce concentrazione della caccia e lo fece fuggire d’istinto. Si alzò in volo sconvolgendo la pigra danza dei fiocchi di neve e scomparve nel cielo nero mentre il secondo rintocco si fece largo nel buio, subito seguito dai suoi compagni di quel viaggio impazzito nelle gole della valle, alla ricerca di mille bersagli. …

RECENSIONI

Antonio Grilli
Chiuppano, 14 gennaio 2008
Dopo aver letto il libro di Mauro Ferri  intitolato La Campana di Mezzocammino, mi sono chiesto: perchè una persona così gentile e socievole come Mauro prende in considerazione il tema della paura, così lugubre, così nascosta nella nostra psiche, così tetra, come la torre telviana nel pieno di un mastodontico temporale serotino di una giornata estiva? Ognuno di noi ha un rapporto personale con la paura; ognuno ha le sue paure. Dimmi che paura hai  e ti dirò chi sei. Il tiranno della valle terrorizza i suoi sudditi che vivono in una ambascia perenne, comunicano pochissimo tra di loro e quindi affrontano questa situazione nel peggiore dei modi. L’unica loro possibilità di libertà è la ribellione che però ha come presupposto l’alleanza e la solidarietà tra i valligiani. Ognuno deve vincere le sue paure  per poi sommare le sue forze con quelle degli altri. “ Nel nostro secolo gli uomini si sono tutti divisi in tante singole unità, ognuno si ficca nel proprio buco da solo, si allontana dagli altri, si nasconde e nasconde quello che ha, e così va a finire che respinge lontano da sè gli altri uomini e viene a sua volta respinto, sempre per colpa sua. Accumula ricchezze in solitudine e pensa: “Come sono forte ora, come sono sicuro!” E non sa, questo sciocco, che quanto più accumula, tanto più affonda in una impotenza che è autodistruttiva. Perchè si è abituato a sperare solo in se stesso, e si è staccato dal tutto, isolandosi, ha abituato la sua anima a non credere nella solidarietà umana, negli uomini e nella umanità, e trema soltanto all’idea di perdere il suo denaro e i diritti acquistati con esso.” (tratto da:  I Fratelli Karamazov di Fedor M. Dostoevskij, pubblicato nel 1880). Forse però la mancanza di solidarietà umana è un difetto insito nell’uomo di tutti i tempi. Questo è un difetto che colpisce trasversalmente tutte le categorie di persone: gli umili e i potenti, gli ignoranti e i colti, gli aggressivi e i mansueti, gli avidi e i generosi, i trasgressivi e i moralizzatori, i coraggiosi e i vigliacchi. Solo poche persone nell’ambito della comunità  hanno talvolta la tempra per poter affrontare e forse risolvere situazioni pericolose con conseguenze personali talvolta molto tragiche, sono disposti cioè a mettere in gioco la loro vita. Mauro, nel suo libro, ci pone questo problema: reagisco, mi muovo, esco dal mio cantuccio per dare aiuto a me stesso e al prossimo, oppure faccio finta di  non vedere? Riuscirò a vincere la mia paura di morire per fare invece quello che ritengo sia giusto? Quello che ho avuto la fortuna di aver appreso dai miei genitori, dai miei maestri, dai miei libri, pur nei limiti della nostra condizione umana. Riuscirò anch’io ad essere “un eroe del nostro tempo”? La comprensione e la tolleranza mi impediscono di condannare troppo duramente chi non riesce a vincere questa paura, però, in caso contrario, il trovare delle persone che condividono le difficoltà accresce il coraggio e crea legami di amicizia e di stima inscindibili nel tempo, legami che, se non altro, ci illudono di superare la condizione della solitudine umana. Probabilmente la soluzione di queste problematiche è l’avere il senso di appartenenza alla propria comunità civile, sapere che non siamo soli e che nei momenti di difficoltà la comunità, tramite le persone preposte a questo compito, e i nostri amici, ci aiuterà. Però ci sono sempre le nostre paure più profonde, alle volte veramente inquietanti, paure dalle quali, in quanto donne e uomini, probabilmente ci libereremo con estrema difficoltà. Questo libro può aiutarci in questo processo maturativo, ci mostra il coraggio non legato all’incoscienza e alla spavalderia del giovane, ma all’equilibrio e alla maturità dell’adulto. “Far del ben e aver paura è la via più sicura”. La nonna Elisa mi ripeteva questo vecchio proverbio trentino che ben sintetizza il concetto della solidarietà  umana, molto utile nelle piccole comunità montane trentine, come focalizza anche la nostra fragilità nei confronti delle malattie, delle calamità, delle guerre e degli aspetti più oscuri dell’animo umano. Ognuno può intendere in maniera differente la “paura “ del proverbio e ciò, probabilmente accresce il mito della cosiddetta saggezza popolare. Nella storia dell’umanità ci sono stati però tanti saggi. “Nulla per noi è la morte: giacchè ciò che si è dissolto non ha sensibilità e ciò che non ha sensibilità non è nulla per noi.” (Epicuro).

Pietro Caruso
Forli’, 2 febbraio 2008
Un campanile di sapore gotico con un diabolico orologio collegato ad una malefica campana che scandisce le ore con lugubre richiamo, una valle in cui il sole si fa vedere di rado, un signorotto tracotante e violento, un paese nel quale gli abitanti sono soltanto sudditi … fino ad un epilogo fra sacrificio e libertà sono gli ingredienti del delizioso romanzo breve LA CAMPANA DI MEZZOCAMMINO (Foschi editore) … Il romanzo è stato scritto da Mauro Ferri, che, nato a Bressanone, vissuto a Roma, da alcuni anni dopo il matrimonio, vive fra Pesaro e la Romagna (attualmente è consulente della Fiera di Forlì, ndr.). Una dedica, nella postfazione, investe proprio la comunità di Borgo Valsugana, nel Trentino sud orientale. Ferri, uomo di marketing e comunicazione, ha una padronanza dei sentimenti profondi del mondo della montagna e li ha saputi riprodurre in un racconto dove i sentimenti primordiali di gioia, di paura, di sottomissione e di ribellione funzionano secondo regole etiche che hanno dimensioni ataviche. Si tratta, dunque, di una lettura gradevole fondata su pochi personaggi con una trovata finale che riconduce in qualche modo a come il male riesce a personificarsi. Il dualismo del racconto è rafforzato dal contrasto fra individuo autoritario e la comunità laboriosa ma succube, offre spunti di riflessione anche nella dimensione dell’attualità e senza alcun riferimento prosaico ad una determinata situazione contingente. Romanzo di buoni sentimenti, dove però il bene per conquistarsi il posto d’onore, si spera duraturo, deve arrivare fino al sacrificio e attendere una ricompensa salvifica, ultraterrena che, alla fine, arriva sgretolando gli infernali meccanismi della sottomissione.

COMMENTI

Giovanni Treviso, Roma

“Caro Mauro … scrivi dei libri che si leggono con piacere, ma per il prossimo trova un finale reale. Mai visto un cattivo che …”

Ometto il resto per non rovinare ai nuovi lettori il piacere discoprire da soli il finale.

COMMENTO DELL’AUTORE: A Giovanni posso dire che già un altro paio di lettori mi hanno segnalato il finale curioso. Tu lo definisci “nonreale”, ma cosa c’è di più reale di quella fine?
In fondo riconduce il tutto alla dignità di ogni essere umano, che sia buono o cattivo. E poiché io non credo all’esistenza del male come entità ontologica a se stante e contrapposta al bene, ma credo che il male sia solo una forma di decadimento del bene, una carenza di amore, trovo quel finale coerente con la realtà che sottostà alla costruzione narrativa, compreso l’artificio demoniaco della campana. In fondo, si tratta solo di una materializzazione delle nostre paure.
Un “male”, quindi, che non ci aggredisce dall’esterno, ma che viene da noi. La vera realtà ontologica è quella dell’ES, del tutto che esiste e che lotta con le sue paure inconsce e intrinseche, ecco perché questa lotta è vissuta con coralità dall’intera valle, dalla natura e dallo stesso tempo metereologico: la lotta è un crescendo che culmina nell’acuto finale, che deve essere come è, altrimenti non è un acuto. No?

Mariapia Pincini, Milano

… ho letto il tuo secondo romanzo, volevo solo dirti che mi è piaciuto moltissimo. Mi è piaciuto talmente tanto, che, sentendo i miei entusiastici elogi, finalmente mio figlio Massimo si è deciso a prendere in mano anche il tuo primo romanzo e ora lo sta leggendo con passione. Massimo ha fatto il liceo classico e sapevo sin dall’inizio che avrebbe apprezzato il contenuto del libro. Mio marito l’ha letto alcuni mesi fa ed è piaciuto anche a lui.
Ma la campana stregata mi è piaciuta ancora di più, fantastica l’idea che i suoi rintocchi rubino i pensieri della gente per portarli al padrone cattivo!
Bravo, dai, sforna qualcosa d’altro in fretta!
Un abbraccio a te e alla tua (splendida) musa ispiratrice.
Mariapia

Lucio Vernillo, Firenze
14 aprile 2011
“La Campana di Mezzocammino” si legge tutto di un fiato: un’occasione per riportarci al linguaggio poetico ed alla musicalità di quella metrica purtroppo messa in disparte da molti scrittori moderni.
Il tuo racconto, pur trattando di temi enigmatici e gravosi, quali il male e la paura, –  elementi esistenziali dell’uomo da sempre -, scorre lieve come i ruscelli montani che tu descrivi, in una sorta di simbiosi tra paesaggio e personaggi, testimoni delle tue radici, della tua indole poetica, delle tue inquietudini, delle tue energie vitali che, attraverso la fantasia, ricercano un senso nell’agire quotidiano.

Graziano Giangolini, Mombaroccio (PU)
(28 novembre 2012)

Ieri ho letto il tuo romanzo, e mentre lo leggevo, pagina dopo pagina mi venivano in mente tante cose, poi prima di dormire ho ripensato ancora alle tante cose che questo racconto mi ha ricordato.
E’ una storia antica e moderna nello stesso tempo. Questi cinque giovani insieme alle loro compagne, che si ribellano, che vogliono giustizia e libertà. Io sono uno di loro, uno che è nato e vissuto in una piccola comunità, dove si frequentava la parrocchia e il bar a discutere e a pensare come cambiare un mondo pieno di ingiustizie. Ho conosciuto il potere, don Fedele, il barista, ho conosciuto Martina, il suo dolore, la sua determinazione e il suo coraggio.

Angelo Vichi, Mombaroccio (PU)
(29 gennaio 2014)

Mauro sa che i rintocchi delle campane dell’orologio … di Mombaroccio … rubano i pensieri e le emozioni e li portano alle nostre orecchie … ogni riferimento al suo bellissimo libro “La Campana di Mezzocammino” è per nient’affatto casuale. Angelo

Eris Risto, Tirana (Albania),
(21 gennaio 2015)

Le volevo fare i complimenti per il primo suo libro che ho letto, La campana di Mezzocammino, afferrante e curiosissima realtà, in cui mi ha fatto piacere ritrovarmi. Continuerò con piacere a leggere le altre opere.

RASSEGNA STAMPA

Elenco degli articoli che hanno pubblicato la notizia del romanzo o della sua presentazione
I testi degli articoli sono per lo più brevi di cronaca. Le recensioni sono nell’apposita sezione
Il Resto del Carlino – Pesaro, 23 aprile 2008
Leggere Tutti, marzo 2008
Mare&Monti, marzo 2008
Quotidiani L’Adige e Il Trentino; periodico Vita Trentina, 7 marzo 2008
L’Adige Week End, 7 marzo 2008
Radio 2 – Rai Regione Trentino Alto Adige, 23 febbraio 2008, ore 14.15
Corriere della Sera – Alto Adige, 22 febbraio 2008
Il Corriere di Romagna – Forlì, 2 febbraio 2008
La Voce di Romagna – Forlì, 2 febbraio 2008
Il Resto del Carlino – Forlì, 2 febbraio 2008
Raifly, Settembre – Ottobre 2007
Corriere della Sera – Roma, 22 novembre 2007

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto