PERCHÉ LA ZIZZANIA NON VA ESTIRPATA SUBITO

(RIFLESSIONI SULL’ESSERE, 24 luglio 2017) Un nuovo brano del Vangelo ci invita a riflettere su come giocare le nostra partita nella vita dell’ESSERE. Con un approfondimento del 22 luglio 2020.

Dopo la parabola del seminatore, ecco una nuova riflessione dal brano del Vangelo letto ieri, domenica 23 luglio (Matteo 13, 24-43).
La parabola di Gesù parla di un campo fertile dove è stato seminato del buon grano. Ma un nemico di notte ha seminato anche la zizzania. Il contadino avveduto non vuole togliere subito l’erba cattiva: la separerà dopo il raccolto.
La zizzania è in noi, come il buon grano. L’insegnamento è di non cedere alla tentazione di toglierla subito, cosa che sembrerebbe essere la più giusta, ma solo all’apparenza. Gesù spiega perché: cogliendo la zizzania, si potrebbe sradicare anche parte del grano. I due sono legati.
Vediamo cosa accadrebbe: Il grano crescerebbe più forte e rigoglioso, come quello delle monoculture intensive che stanno sfiancando il pianeta. In natura la perfezione produttiva non esiste. Una forzatura, inizialmente accattivante, genera pesanti danni collaterali.
Così è nella nostra natura di esseri umani. Se ci venisse estirpato il male che è in noi, non saremmo comunque perfetti. Saremmo monchi. Saremmo sterili. Questo non vuol dire che il male è fecondo. Vuol solo dire che la nostra natura è imperfetta. Privarci delle imperfezioni non è la soluzione. Lo è, invece, la capacità di riconoscerle e superarle, cosa per la quale siamo attrezzati. Sta a noi imparare a farlo.

(22 luglio 2020). Lo stesso brano è stato proposto nella lettura del Vangelo di domenica 19 luglio 2020. Il sacerdote, nell’omelia, è tornato sull’argomento antico come l’uomo: perché Dio consente l’esistenza del male? Argomento inevitabile, perché se si lascia crescere la zizzania accanto al grano, anziché estirparla subito, si consente al “male” di esistere. E perché Dio lo consenta, se davvero è buono e onnipotente, rimane un interrogativo al quale si può rispondere solo con la fede, consapevoli che agli uomini non è dato scrutare i segreti motivi di Dio. È più o meno quello che mi sono sempre sentito dire dai tempi di quando andavo a catechismo. Con maggior profondità di pensiero e efficacia di argomenti ne parla anche il Pastore Eugenio Bernardini sul suo commento pubblicato sul Fatto Quotidiano del 19 luglio:

Se però rileggiamo il brano del Vangelo alla luce della visione panteistica stimolata dall’idea di Davide Fiscaletti e Amrti Sorli di un Universo infinito, atemporale, quantizzato e consapevole (vedi il mio saggio sull’Essere), torna il concetto di male e bene presenti, sia pure in diverse misure, i tutti gli esseri umani, cosa che rende oggettivamente impossibile estirpare la zizzania, perché nessuno è totalmente buono o totalmente cattivo. È una inevitabile conseguenza del fatto che siamo il prodotto di un’evoluzione biologica (che è competitiva) e siamo dotati di libero arbitrio.

Quindi, come concludevo tre anni fa, “Privarci delle imperfezioni non è la soluzione. Lo è, invece, la capacità di riconoscerle e superarle, cosa per la quale siamo attrezzati. Sta a noi imparare a farlo.”

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