DEL MESTIERE DI FAR FIERE

DIDATTICA. PRESENTAZIONE DI UN BREVE SAGGIO PRODOTTO NEL 1997 PER I DIPENDENTI DELLA FIERA DI ROMA E RIFLESSIONI COLLEGATE.

Lo scopo è trasmettere a tutti i lavoratori della Fiera la consapevolezza di che cosa sia il mestiere di far fiere e di come questa consapevolezza sia essenziale per cementare il gioco di squadra; un messaggio per le funzioni commerciali o di comunicazione, ma anche per gli addetti ai servizi tecnici, alla sicurezza, all’amministrazione, alla segreteria: per tutti coloro che si trovano a trattare con i clienti e con i loro referenti.

Indice degli argomenti:

– Premessa (doverosa)
– Come le scatole cinesi
– Cosa vuol dire “servizio”
– Quello che il cliente non sa (o non vuole sapere)
– Quello che invece deve sapere l’azienda di servizi
– Uomini e mezzi
– Vendere spazi o cosa?
– Entriamo nella testa del cliente-visitatore
– Fiere e pubblicità, amici o nemici?
– Dunque, non solo spazi …
– Il visitatore frastornato
– Ma chi è il “prosumer”?
– Il Quartiere fieristico e l’Organizzatore, come approcciare un rapporto ambiguo
– Il cliente del mio cliente è un mio cliente
– Ma quanti problemi!
– Non montiamoci la testa!
– Conclusione? Non ancora.

“Il Prosumer: le velleità sincretistiche dei nostri paludati studiosi di marketing hanno ideato questo neologismo, che, agglutinando le radicali dei concetti di promozione e consumo, implementa categorie concettuali apparentemente contrapposte, che trovano proprio nel sistema-fiera una attualizzazione significante di particolare efficacia. Adesso che è stato chiarito il concetto di prosumer, andiamo avanti …” (IL TESTO COMPLETO DEL SAGGIO È IN CODA AL PRESENTE ARTICOLO; CHI PREFERISCE SCARICARLO PUÒ FARLO CLICCANDO QUI SOTTO).

Una cosa che sembra ovvia …

… ma che è bene tenere sempre presente, è che il lavoro per mettere a punto una fiera dura molto più a lungo dei pochi giorni nei quali si svolge l’evento, spesso anche più di un anno. Un complesso lavoro di organizzazione, di indagine, di comunicazione, di preparazione dei mille dettagli che compongono l’evento fieristico, dal quale possono nascere spunti per migliorare la qualità del lavoro stesso e per affinare le strategie progettuali degli eventi. Ecco alcuni di questi spunti:

1) Elementi per un progetto di sviluppo di portali a supporto strategico delle manifestazioni fieristiche

2) Osservatorio sull’attività fieristica: il futuro del bisogno di servizio fieristico in Italia

3) Quale fiera? Riflessioni per il lancio di una testata giornalistica on-line

4) Contrattualistica nel mondo delle Fiere.

Perché è così difficile mettere in piedi una fiera che funziona?

Perché il fatto di avere una buona idea e uno spazio fieristico disponibile non bastano, troppo spesso, a fare manifestazioni di successo? Dove risiedono alcuni principi base per operare con soddisfazione nel mondo delle fiere?

1) “Del mestiere di far Fiere” prova a entrare nei meccanismi del legame, non certo semplice, che condiziona la relazione Quartiere fieristico-Organizzatore-Espositore-Visitatore: un viaggio nelle scatole cinesi del marketing fieristico, dalla conoscenza dei bisogni del cliente al nodo di Gordio della somma di problemi da risolvere. Dopo una riflessione sul concetto di azienda di servizi, si parla di quello che il cliente non sa (o non vuole sapere) e di quello che invece deve sapere l’azienda, di risorse umane e strutturali, di cosa si va effettivamente a vendere nel proporre a un’impresa la partecipazione a una fiera, della differenza tra comunicazione fieristica e comunicazione pubblicitaria (e del rapporto tra di loro), di come trattare i visitatori, dell’enigmatica figura del “prosumer” e di come approcciare l’ ambiguo rapporto tra Quartiere fieristico e Organizzatore, fino al quasi mantra “cliente del cliente del cliente”.

2) Camere di commercio, associazioni di imprenditori, uffici sviluppo di enti locali e nazionali: un mondo di professionisti che tratta questioni fieristiche e spesso decide la destinazione delle risorse, sempre meno cospicue, del sostegno pubblico. Proprio perché sono sempre più limitate, le risorse pubbliche devono essere sempre meglio utilizzate. La traccia informativa per un progetto di consulenza formativa-informativa sull’attività fieristica destinato alle istituzioni e al sistema associativo è lo schema di lavoro per comunicare con coerenza ed efficacia gli aspetti più critici e delicati delle attività fieristiche agli interlocutori che più di frequente hanno motivo di misurarsi con una realtà in rapida evoluzione.

Traccia per un progetto di consulenza formativa-informativa sull’attività fieristica destinato alle Istituzioni e al Sistema associativo.

A)Parte generale.
1)Il ruolo che svolgono le Istituzioni e il Sistema associativo nell’attività fieristica nazionale e internazionale:
• i contributi alle imprese espositrici;
. le partecipazioni a manifestazioni;
• i contributi alle manifestazioni;
• le partecipazioni dirette verso Enti fieristici e Segreterie organizzatrici
2)Come evolve l’attività fieristica.
3)Per un corretto orientamento delle risorse umane ed economiche.
B)Parte specifica per singole Istituzioni e Associazioni.
1)Modelli di gestione delle risorse “per obiettivi”.
2)Le unità didattiche e di assistenza.

DEL MESTIERE DI FAR FIERE

Premessa (doverosa).

Cominciamo mettendo la mani avanti: tra i diversi settori della vita economica, le fiere sono quello più complesso, perché vi si incrociano tutte le regole del marketing e tutte le regole degli scambi.
E, poi, è il nostro.
Inoltre, l’impresa che, oltre a far fiere, gestisce un Quartiere fieristico vi opera al livello di complessità e difficoltà più elevate.
Infatti, per tornare su un concetto non nuovo, il Quartiere fieristico annovera tra i suoi clienti gli Organizzatori, che hanno per clienti gli Espositori, che, a loro volta, cercano nella fiera un incontro con i loro clienti, i Visitatori.

Come vedremo, la relazione “Quartiere fieristico-Organizzatore-Espositore-Visitatore” non è un semplice legame lineare.

Come le scatole cinesi.

Immaginiamo quanto può essere difficile vendere un servizio (per esempio una nuova copertura assicurativa per la pensione integrativa): dobbiamo convincere il nostro cliente circa la serietà e la validità di quello che “non è altro che una promessa”; diventano fondamentali il modo di presentarsi, il senso di affidabilità che si riesce a trasmettere, il grado di conoscenza dei bisogni del cliente, la certezza della convinzione che, al momento opportuno, onoreremo la promessa.
Si tratta della tipica relazione tra l’azienda di servizi e il cliente e delle regole che ne governano il rapporto (questo vale anche per le aziende che producono e distribuiscono beni materiali, anche se per loro il marketing è un po’ diverso e, per certi aspetti, meno complesso).

Ora, immaginiamo di concentrare un certo numero di relazioni come quella dell’esempio nella particolare dimensione dell’evento fieristico, vincolata a precisi limiti di spazio e di tempo: ogni espositore si accorge (o dovrebbe accorgersi) che il rapporto con il cliente non è più lo stesso, qualcosa di sostanziale è cambiato. L’insieme delle relazioni di ciascun espositore con i visitatori entra in un rapporto dinamico con quella che tutti gli espositori hanno con l’organizzatore e con il quartiere fieristico e con quelle che lega lo stesso organizzatore al quartiere, il quale, a sua volta, vede moltiplicarsi il fenomeno numerose volte l’anno con interlocutori, settori produttivi, mentalità e culture ogni volta diverse.

Chi pensasse, a questo punto, alle scatole cinesi non sarebbe lontano dalla realtà. Quando sono tutte chiuse (il calendario delle manifestazioni) ci sfugge la loro complessità interna; quando sono tutte aperte (la mailing di tutti gli espositori) ne perdiamo i significati relazionali: per coglierne l’essenza (ovvero per capirci qualcosa) dobbiamo allo stesso tempo conoscerle aperte e chiuse.

Cosa vuol dire “servizio”.

Prima di aprire (senza romperle) le scatole cinesi del nostro calendario, è bene chiarire il concetto di azienda di servizi e dei suoi problemi.

Un servizio non è un oggetto che, comperato, si porta a casa come un litro di latte o una lampadina: è immateriale; inoltre, a differenza delle lampadine, che possono essere prodotte in Cina e vendute dall’elettricista sotto casa, un servizio è consumato nello stesso momento in cui è prodotto, e in più, una volta erogato, è finito (chi ha dato ha dato …).

Ma il servizio possiede una qualità molto particolare e tutta sua, che lo distingue da qualsiasi bene materiale: per essere prodotto (e consumato) richiede la partecipazione del cliente!

E’ banale, ovvio, lapalissiano: “che servizio è senza l’utente?” Appunto, non può esistere. L’acquirente del solito litro di latte è passivo (al massimo controlla la scadenza), ma l’utente di un servizio non può non essere anch’egli attore, protagonista.

Quello che il cliente non sa (o non vuole sapere).

Dalla apparente ovvietà di questa affermazione, emerge una conseguenza profonda e importante, che troppe volte ci sfugge, sia come erogatori di servizi, che come utenti: il cliente è, in qualche misura, corresponsabile del risultato. Anche se, il più delle volte, non se ne accorge o non lo vuole ammettere.
Ricordiamocelo, la prossima volta che comperiamo un viaggio o che andiamo dal commercialista!

Questo, però, non serve a scaricare il problema. Ci sarà pure un certo grado di corresponsabilità del cliente, ma se lui non lo sa, il problema non è suo, ma nostro! Il cliente va coinvolto, informato e, se del caso, preparato.

Incominciamo a tenere sempre presente che la qualità di un servizio non è un fatto oggettivo, ma soggettivo, cioè non esiste un buon servizio in assoluto, ma un servizio è valido se viene percepito come tale dal cliente. E se poi protesta, andate a dirgli che è anche colpa sua!

Quello che invece deve sapere l’azienda di servizi.

Lasciamo per il momento il cliente e le sue responsabilità (più o meno consce) e torniamo all’azienda di servizi (come espositore, come organizzatore, come gestore di quartiere …).

Poiché il nostro prodotto (una promessa) si vende sulla fiducia, dobbiamo fare leva sulla nostra immagine (di qui l’importanza della comunicazione istituzionale!), ma dobbiamo anche imparare a gestire la partecipazione del cliente e questo significa:

  • sapere come e perché il cliente acquista e utilizza i nostri servizi;
  • sapere se il cliente ha bisogno, vuole, è capace di partecipare all’erogazione del nostro servizio.
    In altre parole, dobbiamo “conoscere” il nostro cliente.

E questo presuppone attenzione e la disponibilità di informazioni organizzate in dati, che abbiano significato, prontamente reperibili e costantemente aggiornati. Questo significa non sottovalutare i continui incitamenti a dotarci di un sistema informativo efficace: diamoci dentro con i nostri database e usiamo la testa quando li riempiamo di cifre, perché alla base della riuscita di ogni buona manifestazione c’è un corretto sistema di informazioni!

E’ come la piramide di barattoli del supermercato: quello in cima, su cui svetta la bandiera dei sorrisi di circostanza, è la trionfale giornata inaugurale; tutti quelli alla base, sul pavimento, sono le informazioni. Cominciate a toglierne qualcuno, a metterne altri di traverso, altri ancora di misura differente … e patatrac!

Uomini e mezzi.

Nell’incontro con il cliente l’azienda di servizi gioca tutte le sue carte, che poi sono risorse umane e strutturali, dette “personale di contatto” e “supporto fisico”.

Strutture, attrezzature, atmosfera dell’ambiente costituiscono il “supporto fisico” nel quale opera il “personale di contatto”, cioè noi.
Già. Il nostro è un ruolo molto, ma molto, importante e delicato (siamo sicuri di fare tutto il possibile per meritarcelo?).

Dobbiamo essere competenti e motivati, perché da noi (con l’aiuto del supporto fisico, cioè del nostro luogo di lavoro, ma anche del sistema telefonico e – quando qualcuno vorrà – della posta elettronica) emana quell’immagine aziendale che è premessa del corretto rapporto con il cliente, al quale – ricordiamo – vendiamo una promessa che lui sa valutare con difficoltà.

Ed eccoci al nodo fondamentale (o almeno a uno dei nodi fondamentali).

Come “personale di contatto” siamo una sorta di interfaccia tra cliente e azienda; dobbiamo, cioè, mediare tra esigenze che possono confliggere e ciò significa instaurare una relazione, il più possibile duratura: non basta più limitarsi a gestire una semplice situazione di scambio!

Vendere spazi o cosa?

Se ci chiedono che cosa vendiamo ai nostri clienti, la prima risposta che ci viene in mente è “spazi espositivi”.

Non vi convince la risposta troppo facile alla domanda apparentemente troppo elementare? Avete ragione.

Sarebbe troppo riduttivo banalizzare tutto il nostro lavoro in una sterile cessione temporanea di metri quadrati; non siamo, non possiamo essere affittacamere o agenti immobiliari!

E allora cosa siamo?

Un “medium”. Cioè un mezzo per comunicare.

Sarebbe a dire che vendiamo una particolare forma di spazi pubblicitari?
No, o meglio, non proprio.

Noi vendiamo un sistema di comunicazione che è diverso da quello degli altri “media”, diverso, cioè dai giornali, dalla radio, dalla televisione. Noi creiamo opportunità di relazioni tra prodotto (o servizio) e acquirente.

Lo spazio espositivo non è un annuncio pubblicitario perché:

  • è interattivo (cioè consente un rapporto diretto con il cliente, e qui c’è tanto da dire su come troppi espositori lo utilizzino in maniera poco corretta, confondendolo con il loro negozio o, all’opposto, con una pagina di pubblicità);
  • agisce in un momento diverso nel processo di acquisto del cliente.

Entriamo nella testa del cliente-visitatore.

Parlare di interattività e di fasi di un processo d’acquisto potrebbe subito scatenare raffiche di sbadigli, se non ci rendessimo conto che ci riguarda, in prima persona, tutti i giorni, ogni volta che andiamo a comperare qualcosa.

Entriamo, quindi, nel merito di questo “cammino” che percorriamo, spesso senza rendercene conto, più volte al giorno.

Il nostro problema, come acquirenti o come utenti, è soddisfare un bisogno (fame, spostamento, rilassamento, freddo, sonno, pulizia …); prima valutiamo le possibili diverse soluzioni, poi, individuata quella che più ci aggrada, selezioniamo il prodotto giusto tra una possibile gamma di offerte e lo andiamo a cercare nel posto più comodo o più conveniente, per acquistarlo.

E’ ovvio? Eccessivamente ridondante? Esagerato? Davvero facciamo ogni volta così, anche per un quotidiano o per il caffè?
Sì. Perché dopo l’acquisto c’è l’uso e, se soddisfatti, il riacquisto. Nella fase di riacquisto, appena torna ad accendersi il bisogno, possiamo saltare tutti gli altri passaggi, perché “già fatti”: ecco la famosa “fidelizzazione”.

Ora, ciascuno pensi a un nuovo bisogno e a risolvere il problema della sua soddisfazione: in questo modo ciascuno può percorrere, uno per uno, tutti i passi del “processo d’acquisto”, che, riepilogando, sono:

1) il bisogno;
2) la valutazione delle possibili soluzioni;
3) le alternative di prodotto;
4) le alternative di fornitura;
5) l’acquisto;
6) l’uso;
7) il riacquisto.

Fiere e pubblicità, amici o nemici?

A questo punto proviamo una simulazione. Un bel giorno siete alla porta del responsabile marketing (o di chi per lui) di un’azienda che avete individuato come possibile espositore per un progetto di manifestazione che state curando. Avete un appuntamento, ma, come al solito, dovete fare anticamera; nel salottino d’attesa c’è la venditrice di pubblicità di una nota rivista. Sorrisi e, forse, scambi di tiepide cortesie. Ma sotto sotto vi rode un tarlo: “Che vuole quella? Vuoi vedere che mi frega il budget? Tanto lo sappiamo che le aziende hanno sempre meno soldi per la promozione, o che trovano più facile un annuncio pubblicitario, piuttosto che una fiera! Questo era il ‘mio’ appuntamento!”

Beh, se siete andati per vendere spazi, avete ragione a temere: la pubblicità, su questo fronte, è vincente. Vediamo perché.
I sette passaggi del “processo di acquisto” non sono una vuota analisi accademica, ma una accorta individuazione di fasi selettive con una rigorosa sequenza, il che significa che una fase successiva non può esistere senza quella precedente.
La pubblicità risulta particolarmente efficace nella prima fase, quella del bisogno: le sue immagini accattivanti, i suoi slogan titillano i bisogni della gente, anzi, a volte li generano (e questo è un altro problema, che per ora non ci riguarda). Qui le fiere hanno poco da dire, non sono molto efficaci. Lo sono, invece, soprattutto nelle fasi 2 (valutazione delle possibili soluzioni), 3 (alternative di prodotto) e 4 (alternative di fornitura), proprio laddove la pubblicità risulta assai poco efficace.
Ecco perché troviamo spesso le fiere e i gruppi editoriali alleati nella progettazione di eventi fieristici.
Queste cose le dicono rigorosi studi di ricercatori con tanto di cappello, c’è da crederci!

Dunque, non solo spazi …

Preso atto che ci troviamo a operare in un “media” diverso dagli altri, scopriamo subito che una componente di questa diversità è data dal fatto che mettiamo espositore e visitatore l’uno di fronte all’altro; come “media” dobbiamo quindi confrontarci con i possibili concorrenti sia dal punto di vista dell’uno, che dell’altro.

La promozione di un’azienda, oltre alle fiere, può utilizzare il direct marketing, la pubblicità, le promozioni, la sua stessa forza vendita, etc; il visitatore, invece, può risolvere il suo problema informativo con le visite dirette ai fornitori, le riviste specializzate, le banche dati, internet, etc.

La nostra diversità, che è il nostro “plus”, è data:

a) da un’interattività, per l’espositore, basata sul rapporto umano, perché mette il suo “personale di contatto” in rapporto diretto con il visitatore, premessa perché si instauri un rapporto di fiducia e un riscontro diretto e immediato della competenza: per lui la fiera vende un sistema di comunicazione a un target selezionato. Ma l’espositore lo sa? Si ne rende conto che durante la fiera viene valutato profondamente dal visitatore? E quanti espositori dispongono di “personale di contatto” preparato?

b) dalla possibilità, per il visitatore, di poter effettuare rapidi e mirati confronti: per lui la fiera vende un sistema di confronto. E anche qui, quanti visitatori sanno utilizzare correttamente una fiera? Cosa possiamo fare per risolvere il suo problema, che è racchiuso nelle tre fasi chiave (2, 3 e 4) della ricerca prima dell’acquisto?

Molto. E avremo modo di discuterne.

Il visitatore frastornato.

Forse noi non ce ne rendiamo conto, e nemmeno l’espositore lo avverte, ma il nostro visitatore, venendo in fiera, ha un problema, un grosso problema. Vuole reperire le informazioni che gli servono per superare la sua fase pre-acquisto, e lo deve fare nell’arco di tempo – limitato – della manifestazione. Tanto più che questa visita gli costa, e non poco. All’espositore la visita in fiera costa una tombola! Chi pensa che solo l’espositore investa nel sistema-fiera?

Tra servizi complementari (taxi, ristorante, albergo, catalogo …) e investimenti non monetari (il suo preziosissimo tempo …) i nostri studiosi hanno calcolato che 100 visitatori investono più di un espositore!

Vero o no, teorie accademiche o improvvise rivelazioni, sta di fatto che l’investimento del visitatore va capito e rispettato.

Immaginate di essere nella situazione in cui, per acquisire le informazioni che vi servono, avete poco tempo e, in compenso, avete già fatto il vostro investimento: non vi sentite un po’, come dire, pressati? Preoccupati? Angosciati?

Senza esagerare, il vostro ingresso in fiera, come visitatore, si accompagna, molto spesso, a uno stato d’ansia. Se poi incontrate il primo rompiscatole che, dal suo improbabile stand, vi tira dentro per parlare di cose che sono solo nella sua testa, e vi fa perdere tempo maledettamente prezioso, sentite aumentare le palpitazioni. Ve ne liberate per dirigervi verso il vostro obiettivo (che è trovare e confrontare per valutare), ma le informazioni, il lay out espositivo e la segnaletica sono un disastro. Non è che non ci siano, ma quanto a esservi utili … se poi vi viene il mal di pancia, magari per una orribile pietanza mandata giù a forza per placare i crampi, e cercate un bagno …

Dicevo, senza esagerare. Qualche inconveniente può capitare a tutti, ma un sistema bene impostato lo è soprattutto in funzione dei bisogni del visitatore, e qui, l’espositore è parte attiva e insostituibile, anzi, è il nostro principale partner! Tutto sta a farglielo capire, ma, per tornare a un concetto già espresso, il problema è nostro.

Ma chi è il “prosumer”?

A questo punto si comincia a comprendere la complessità della nostra situazione.

Dobbiamo conoscere e risolvere i problemi di due categorie, espositori e visitatori, saltando continuamente dal punto di vista dell’uno a quello dell’altro, e questo sia come organizzatori, sia come quartiere fieristico; e poiché siamo azienda di servizi, i nostri clienti sono parte integrante nella costruzione del prodotto-servizio (questo concetto, ora, non è più così oscuro), ma noi (come organizzatori e quartiere fieristico) diveniamo parte integrante della costruzione del prodotto-servizio dell’espositore e, nello stesso tempo, lo siamo in quello del visitatore.

A loro volta sia i visitatori che gli espositori, in quanto clienti, partecipano alla costruzione del “servizio” che viene loro erogato e per tale ragione sono definiti “prosumer”, orribile parola, anche se efficace nella sua sintetica brutalità.

Le velleità sincretistiche dei nostri paludati studiosi di marketing hanno ideato questo neologismo, che, agglutinando le radicali dei concetti di promozione e consumo, implementa categorie concettuali apparentemente contrapposte, che trovano proprio nel sistema-fiera una attualizzazione significante di particolare efficacia.

Adesso che è stato chiarito il concetto di “prosumer”, andiamo avanti.

Il Quartiere fieristico e l’Organizzatore, come approcciare un rapporto ambiguo.

Finora il rapporto con espositori e visitatori è stato trattato come se Organizzatore e Quartiere fieristico fossero la stessa cosa. Del resto noi, che siamo “Quartiere”, siamo anche, in alcuni casi “Organizzatori”; il punto di vista – viene da dire – è quasi lo stesso.

Quasi? Sì o no?

Prima di rispondere, torniamo al concetto introduttivo, quello della presunta relazione lineare “Quartiere-Organizzatore-Espositore-Visitatore”. Finora abbiamo trattato della complessità del secondo e del terzo passaggio; ora dovrebbe essere più chiaro come il primo passaggio sia qualitativamente differente dagli altri: in realtà con l’espositore e con il visitatore si relaziona il gruppo “quartiere-organizzatore”, che a sua volta può (o non) avere uno sviluppo separato tra chi si occupa solo del luogo fisico e chi elabora il progetto di marketing dell’evento.

Cioè: come “Quartieri” possiamo essere una struttura che possiede (ehm!) un’area espositiva, la attrezza, vi organizza i servizi e vi promuove e organizza particolari eventi fieristici; oppure propone l’area attrezzata ad altri che vi portano i loro progetti; o, ancora (come nel nostro caso e come in quasi tutti i casi delle entità fieristiche), le due cose insieme.

Anche questa è una cosa ovvia e conosciuta? Bene. Ancora una volta dall’ovvietà emerge un concetto importante.

Il cliente del mio cliente è un mio cliente.

Se organizzare un evento fieristico e gestire un quartiere espositivo sono due componenti di un unico “entità” (cioè un solo soggetto referente), allora il modo di rapportarsi (cioè la qualità e il tipo della relazione) con gli altri “soggetti” (ovvero gli espositori e i visitatori) dovrebbe essere la stessa.

Quindi i clienti degli organizzatori sono i nostri clienti! Ma siccome abbiamo visto che gli organizzatori non hanno tra i loro clienti solo gli espositori, ma anche i visitatori, anche quelli sono nostri clienti!

I conti tornano! Tutto sta a far capire anche ai nostri organizzatori che, con ciò, non intendiamo portar loro via i clienti! E non solo. Dobbiamo anche fare capire loro che non possono sostituirsi a noi nella gestione del quartiere fieristico.

Anche questi sono nostri problemi.

Ma quanti problemi!

Ricapitoliamo.
Primo problema: gestire lo stress del visitatore.
Secondo problema: far comprendere all’espositore il suo ruolo nella qualità del “servizio-fiera” e come egli debba gestire lo stress del visitatore.
Terzo problema: far comprendere all’organizzatore che è suo compito non solo affrontare lo stress del visitatore, ma anche educare i suoi espositori a vivere correttamente il loro ruolo nella qualità del “servizio-fiera” e, a loro volta, nella gestione dello stress del visitatore.
Quarto problema: delineare con chiarezza gli ambiti oltre i quali l’organizzatore non deve andare, per non sostituirsi a noi nella gestione del quartiere fieristico.

Non montiamoci la testa!

A questo punto potremmo avere due reazioni: fuggire in convento o salire in cattedra.

Non discuto le scelte di chi vuole fuggire in convento. Probabilmente i veri motivi non sono in fiera, ma altrove, lo sapranno meglio loro stessi.

A chi si sente tentato di salire in cattedra suggerisco di considerare prima il bilancio dell’Ente Fiera di Roma e poi che diversi organizzatori ed espositori (ma anche un buon numero di visitatori) molte di queste cose già le conoscono, le hanno interiorizzate, digerite, assimilate, le usano come tutti i giorni ognuno di noi usa lo spazzolino da denti.

In altre parole, da loro può esserci molto da apprendere.

Impariamo ad ascoltarli, cosa che, guarda caso, è una regola base del marketing: “ascoltare il cliente”.

Questo, ovviamente, vale anche per chi scrive e anche più in alto.

Conclusione? Non ancora.

C’è ancora molto da dire, per esempio sulla definizione di “servizio centrale” (core service) e servizi accessori (peripheral), ma soprattutto su come sviluppare e mantenere il rapporto con il cliente, sui parametri della qualità del servizio, sulle unità di misura (gap) degli scostamenti dallo standard qualitativo, sulle analisi della concorrenza, sulla competenza organizzativa, sulla comunicazione fieristica …

Questa non è quindi una conclusione, ma una pausa di riflessione. Dal dialogo, tra tutti noi, nasceranno ulteriori occasioni di incontro e di confronto (magari sulla pagine di “Fiera days”), per capirci meglio un po’ tutti su chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo.

Roma, 8 dicembre 1997.

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